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“Per risolvere le situazioni problematiche, abbiamo tre strade: una quella della Passione, una è quella della Ragione, la terza è quella del Coraggio. A volte queste tre strade devono collimare; a volte l’una esclude l’altra”-Vincenza Palmieri

“Per risolvere le situazioni problematiche, abbiamo tre strade: una quella della Passione, una è quella della Ragione, la terza è quella del Coraggio.
A volte queste tre strade devono collimare; a volte l’una esclude l’altra”.

Parliamo di soluzioni, dunque, soluzioni per famiglie che hanno problemi con le scuole, e non problemi a scuola. Si sottovaluta molto quello che sta succedendo nelle scuole. Sembra che sia una questione che riguarda soltanto docenti, studenti e organizzazione sanitaria (le ASL), quando invece è un fatto che sta investendo la società con una portata ampissima, perché la quantità di diagnosi che abbiamo in questo momento in Italia è tale da incidere sulle famiglie. Le famiglie di oggi – perché comporta una rilettura dei rapporti, una individuazione del figlio con diagnosi, i tentativi e la ricerca di soluzioni che spesso si trasformano in problemi – ma andrà ad incidere anche sui prossimi adolescenti che saranno, dunque, gli uomini di domani.
Il 30% di diagnosticati oggi saranno i genitori e politici domani: persone con un pacchetto di competenze differenziato; quindi, di base, stiamo creando una sorta di classismo sociale di gravissima portata, perché omettere nella programmazione scolastica competenze e porzioni di programma e abilità – come quella matematica e di calcolo, per esempio – avrà ricadute sulle generazioni future. Dobbiamo sapere e ricordare, infatti, che quel bambino non sarà sempre tale ma che, appunto, un domani sarà genitore.
Stiamo costruendo una società monca, che in questo momento si esplicita con evidenza in una Famiglia monca, estremamente problematica.

Qual è la soluzione, dunque, in tutto questo? La soluzione è quella di leggere la Legge 170 nella sua vera natura. E’ possibile presentare delle proposte di legge, affinché questa norma sia vista alla luce dei risultati che ha prodotto e delle interpretazioni fallaci e della deriva che ha prodotto.
Bisogna rivedere la norma, contestare la norma e – se siamo oggi ad un tavolo anche politico, in una sala del Governo – questa è la sede corretta per continuare a rilanciare con più forza la rivisitazione della Legge 170 e non solo: anche la Legge sui BES.
Si tratta, insomma, di fare il punto su ciò che sta accadendo nelle scuole e ragionare con i dati che abbiamo oggi, perché le Leggi sono state completamente stravolte. Non mi sembra, per esempio, che i figli delle famiglie che hanno avuto una diagnosi di dislessia, oltre a non vedere il proprio bambino bocciato, abbiano avuto altri risultati.
Un altra proposta è quella di una rinnovata attenzione e rilettura sulla Legge che c’è in questo momento, in particolare su un punto fondamentale: la norma dice chiaramente che solo dopo che il docente ha fatto una serie di passaggi, monitoraggi e ha ravvisato una serie di evidenze, solo allora si può procedere; ma queste evidenze, questi monitoraggi oggi si sono tradotti in screening e diagnosi precoci. Parliamo, dunque, di un tessuto che diamo per scontato che sia malato: ecco perché poi tutto ciò si traduce in diagnosi precoci.
Non si fanno diagnosi precoci per le malattie oncologiche, per le cardiovascolari – che sono la prima causa di decesso al mondo – ma c’è una capillarità nelle diagnosi a scuola.
Credo che questa sia la soluzione: andare ad intervenire all’interno di questo sistema che si è incrinato per il succedersi troppo rapida di figure istituzionali e Ministri competenti, così come per la forte incidenza del Sistema Sanitario all’interno del Sistema Scolastico.
Io provengo dall’epoca dei Decreti Delegati, dall’epoca del dialogo Scuola-Famiglia: quando parliamo di Scuola, parliamo di Famiglia; sanare la Scuola significa sanare la Famiglia. Quella di oggi e quella di domani.
Io sono pronta personalmente a tenere sempre attivo il mio tavolo di lavoro per lavorare concretamente su questa ipotesi. La cosa peggiore che possiamo fare, come al solito, è non fare niente.

Permettetemi di concludere ringraziando (le Associazioni Presenti) ma in particolare l’On. Bechis, che è stata con noi a Torino, ha sostenuto con noi il Governo dell’Ecuador nella sua dura battaglia, ha lavorato insieme a noi ad un progetto interessante di rivisitazione della Legge 285/97, si è impegnata nell’ambito dei Minori allontanati e in mille altre battaglie. La sua vivacità politica ed intellettuale è sempre stata ampiamente condivisa e per questo la ringrazio di cuore in questa giornata importante in cui ha voluto raccogliere l’esperienza di questi anni, in un evento di meravigliosa sintesi.
Auguro a lei e a tutti noi, di cuore, che il suo impegno, la sua passione e la sua competenza possano essere messi al servizio dei Cittadini ancora per decenni.

Relazione di Vincenza Palmieri-Presidente INPEF

Dal pregiudizio all’ascolto per la scoperta dell’unicità in noi e nell’altro (Virginia Vandini -Presidente de Il valore del femminile)

Ognuno di noi è unico e complesso allo stesso tempo. Per conoscere e conoscersi si può far riferimento a etichettamenti o stereotipi, ma con quale risultato?
L’ascolto è l’unica via per entrare veramente in contatto con sé e con l’altro e per comprendere che le differenze sono una risorsa e non un ostacolo.
Ci sono tuttavia delle abitudini quando ascoltiamo che non rendono particolarmente facile questo processo. Ad esempio:
• prepariamo quello che diciamo mentre l’altro sta parlando
• interpretiamo o facciamo seconde ipotesi su quello che l’altro dice
• pensiamo di sapere già quello che l’altro sta per dire
• mentre ascoltiamo, pensiamo a come aggiustare o aiutare o soccorrere l’altro
• giudichiamo, valutiamo quello che l’altro dice
È evidente che bisogna educarci all’ascolto in una realtà in cui siamo continuamente bombardati da molteplici stimoli e condizionati in maniera spesso poco consapevole sulle nostre scelte.
L’UNESCO l’ente che si occupa dello sviluppo e della civilizzazione dell’umanità ha individuato nella comunicazione, insieme alla cultura e alla conoscenza scientifica, uno dei pilastri fondamentali per il possibile progresso dell’uomo.
Con queste consapevolezze nel 2013 ho fondato Il valore del femminile e la Scuola di formazione in counseling. Allora avevo compreso che soltanto attraverso la costituzione di un capitale sociale significativo basato sulla relazione e sulla fiducia è possibile che le persone, ovvero uomini e donne si aprano e, nello stesso tempo, possano mettere in atto la fondamentale “tecnica” dell’ascolto.
Nella realtà imprenditoriale oggi si parla di right profit considerando tre fattori: il profitto per l’azienda nel momento in cui eroga un servizio; la soddisfazione del cliente che usufruisce di quel servizio; il benessere che se ne determina per la collettività.
È nelle parole di uno studente della nostra scuola che concluderà la sua formazione a novembre di quest’anno che emerge il nostro right profit:
“quando ho cominciato a frequentare e studiare, tutti i moduli proposti hanno avuto un grande impatto nella mia vita sociale, professionale ed affettiva. Il primo ambiente dove ne ho subito messo in pratica l’efficacia è stato quello del lavoro dandomi strumenti pronti per comprendere meglio le dinamiche emotive e relazionali. Ciò che in precedenza era gestito “soltanto” con le mie personali doti di educazione, gentilezza e sensibilità, diventava un mondo dove le mie nuove nozioni di prossemica, linguaggio non verbale, mimica facciale e corporea si rivelavano essere delle chiavi di lettura per comprendere meglio le emozioni e gli stati d’animo di chi mi stava di fronte e avere quindi la possibilità di contribuire, per un intero gruppo, a vivere più serenamente la vita lavorativa.”
Cosa insegniamo dunque ai nostri studenti?
l’autenticità cioè ad essere sempre in contatto con le proprie emozioni, anche quelle negative, per relazionarsi efficacemente con quelle altrui;
epoché, ovvero la sospensione da giudizi di valore del proprio vissuto, sia in senso positivo che negativo;

l’empatia, ossia la capacità di sperimentare interiormente e comunicare – pur mantenendo un distacco necessario ai fini della relazione – il mondo emotivo rappresentato dall’altro.
Questi principi che riprendiamo dalla psicologia umanistica introdotta da Carl Rogers, sono alla base del nostro modello educativo presentato nel libro “Amore. Ascolto. Accoglienza”.
Mi ha reso particolarmente felice quando ho ricevuto l’invito di Elisabetta Nistri che rappresenta la Federazione delle donne per la pace nel mondo a portare il mio contributo in questo convegno la cui finalità comune, il filo rosso che lega il nostro essere qui, è di creare pace.
Ma cosa vuol dire essere in pace? Che cos’è la pace?
La pace nella mia esperienza non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che si è. Essere in pace con se stessi innanzitutto e poi con il mondo intero e desiderare che la pace sia per tutti, che tutti gli esseri arrivino alla pace naturalmente. La pace è il presupposto per vivere nella grazia, nell’armonia, nell’amore e nella collaborazione che sono tutte quelle componenti rappresentative di uno stato di equilibrio.
Il titolo del nostro evento di oggi ci riporta a quello che diceva Gandhi: siate il cambiamento che volete vedere nel mondo. Se vogliamo vedere un mondo onesto siamo onesti, se vogliamo vedere un mondo schietto, siamo schietti e diretti, se vogliamo un mondo gioioso, siamo gioiosi.
Quando si è in pace, si vive la pace uscendo anche dall’idea che “oggi aiuterò gli altri” perché è il mio stesso essere ad offrire aiuto come esempio, come guida, come presenza.
È importante soprattutto che i più giovani abbiano qualcuno a cui si possano rivolgere, fare le proprio confidenze, chiedere consiglio per superare serenamente le loro impasse e proiettarsi nella vita con fiducia, con coraggio ed entusiasmo. In fondo loro sono il nostro futuro al quale andrebbe insegnato ad ascoltare la propria interiorità, il proprio spirito guida o daimon, come lo defisce Hillman ne “Il codice dell’anima”.
E come si ascolta il proprio daimon?
Innanzitutto imparando ad osservare che cosa succede dentro di noi perché la prima consapevolezza è la consapevolezza di se stessi.
Quando noi siamo concentrati sulla nostra interiorità e osserviamo le sensazioni fisiche, le emozioni e i tipi di pensieri che ci attraversano, senza giudicare, scopriamo il nostro mondo interiore, la nostra unicità e questa comprensione ci porta ad accettare, a essere noi stessi in tutte le nostre sfaccettature anche contraddittorie perché la contraddizione fa parte dell’essere umano essendo immersi in una realtà duale.
Questi non sono concetti recenti, sono concetti antichissimi dell’Advaita Vedanta che si perdono nella notte dei tempi e sono ritrovabili, rintracciabili in tutte le tradizioni filosofiche che sono dietro i paradigmi religiosi. Questi principi che sono plurimillenari non sarebbero niente però se non trovassero delle voci, delle persone vere, reali.
Queste persone siamo noi, qui, adesso che le abbiamo ricevute e incarnandole le abbiamo fatte nostre, scorrono nel nostro sangue e sono depositate nel nostro DNA.
Per cui la novità siamo noi oggi che possiamo mantenere e rendere vivi questi messaggi eterni e contribuire alla costituzione di una massa critica che s’impegna, si sacrifica, si dona per la realizzazione di un nuovo mondo.

Presidente de Il valore del femminile – Virginia Vandini, 15 Marzo 2017, “Essere il cambiamento oggi:Uguaglianza, Educazione, Lavoro, Diritti dei Minori”

Le sfide del lavoro oggi: innovazione, interculturalità, etica (Maria Grazia De Angelis-Associate Partner Temporary Management & Capital Advisors/Presidente Associazione Italiana di Studio del Lavoro per lo Sviluppo Organizzativo)

1.Le donne e il mondo del lavoro
In un mondo del lavoro in continuo cambiamento, caratterizzato da processi quali la globalizzazione mondiale, la flessibilità e la precarietà occupazionale, l’intensificazione del lavoro, i rischi psicosociali, la violenza morale e lo stress correlato al lavoro, le competenze professionali stanno diventando come una maschera da cucire addosso, fatta di variopinti pezzi di vita, puzzle che si incastrano. Solo quando questa veste di Arlecchino con i suoi ritagli di esperienze sarà completata noi possiamo entrare nel palcoscenico della vita lavorativa con successo. Oggi non esiste posto fisso, neanche quello sicuro, ma deve esistere solo il sogno dentro di noi che si avvera. Per questo va sudato e conquistato, gustando le tappe intermedie.
Ci troviamo infatti a vivere un mondo del lavoro che presenta una netta dicotomia tra occupati e non occupati, con percentuali sempre più allarmanti e con impatti sociali che potrebbero diventare disastrosi a causa di un dilagante modo di essere pericolosamente “soggettivo” ed “egoistico”, generato da un diffuso malessere e un’allarmante differenza tra lavoratori a cui sembrano essere riservate tutte le garanzie e i privilegi e lavoratori privi di qualsiasi tutela sociale. Ciò in netto contrasto con gli artt. 36 -37 della nostra Costituzione e con il concetto di equità distributiva. E’ infatti l’equità distributiva che porta il benessere e lo sviluppo economico e non la concentrazione della ricchezza nell’1% di una popolazione. La ricchezza mal distribuita comprime la crescita e genera disuguaglianze. (nota piè di pagina )
L’occupazione femminile cresce in Europa, ma la disparità non diminuisce. L’ultima relazione della Commissione Europea sottolinea ancora una volta come i divari di genere restano importanti e sempre a svantaggio delle donne. Le donne al vertice delle imprese italiane sono poche, molto meno della media europea, e questo è un fenomeno noto. Ma la novità che emerge da una ricerca di Cerved sulle donne manager è un’altra: sebbene le imprese guidate dalle donne vanno vadano meglio rispetto alle altre, accrescano più velocemente i ricavi, generino più profitti, siano meno rischiose, le donne hanno più difficoltà ad accedere al credito e a trovare lavoro.
Comunque, dato confortante è rappresentato dal fatto che nonostante l’attuale contesto sociale ed economico non sia favorevole, le donne stanno dimostrando di saper dare un contributo sempre maggiore alla creazione di tecnologie e all’introduzione di innovazioni. Scoraggiate di fronte a un mercato del lavoro dipendente con difficoltà di accesso, di carriera e di conciliazione con i bisogni della famiglia, sta infatti aumentando il numero delle donne che decidono di mettersi in proprio. Nascono aziende in rosa sempre più numerose e resistenti alla crisi perché chi le fonda non lo fa per mancanza di alternative ma perché vuole proporre un progetto di business ben delineato. L’Italia, insieme a Grecia, Portogallo e Croazia, domina la classifica del tasso di imprenditorialità rosa, con una quota di donne che scommettono su un’azienda pari al 16% della forza lavoro femminile, contro la media europea del 10%.
Secondo un monitoraggio Unioncamere di novembre 2016, su 618.345 imprese giovanili oltre una su quattro è guidata da donne. In soli sei mesi quelle under 35 sono avanzate ad un ritmo del 5,8%, staccando di gran lunga l’intera base imprenditoriale femminile che, comunque, nonostante le difficoltà è cresciuta dello 0,8% doppiando il passo dei colleghi uomini. Si tratta di donne competenti e determinate che da una parte stanno entrando in ambiti fino ad oggi occupati dagli uomini e dall’altra stanno riscoprendo mestieri antichi

Allora da dove ripartire per superare l’attuale declino economico e valorizzare il cosiddetto “D Factor”?
• INNOVAZIONE: riprogettare la scuola e i vari contesti sociali ed organizzativi affinchè consentano lo sviluppo della creatività e dell’innovazione
• INTERCULTURALITA’: valorizzare la diversità, fornendo gli strumenti concettuali ed operativi per gestire le interazioni non solo nel quotidiano , ma anche con clienti, personale e sistemi organizzativi di culture diverse nel mercato globale
• ETICA: diventare tutti socialmente più responsabili

2. L’ Innovazione è donna
Entro il 2020 il 75% dei lavoratori dirà addio agli uffici tradizionali, mentre la tecnologia metterà a repentaglio il 47% delle attuali professioni. E’ quanto emerge leggendo il report “The Future Laboratory, Workforce Future 2016” di UBS Wealth Management.
Ci siamo mossi attraverso l’Era dell’informazione e l’Era della conoscenza ora viviamo nell’Era delle Idee. La sfida è attualmente quella di generare nuovi modi di comprendere la realtà e tramutarli in previsioni. Ma le previsioni vengono direttamente da una cultura della creatività in cui le persone siano ispirate a tentare cose che non hanno mai tentato prima e a guardare le cose come non sono mai state guardate. In altre parole a “pensare in modo differente” e a “relazionarsi in modo differente”
A partire dagli anni Settanta il destino economico di un Paese dipende sempre più dal livello di istruzione dei propri abitanti, configurando una distribuzione geografica del lavoro in base al profilo professionale. Di qui l’esigenza di meglio coniugare le esigenze del mercato del lavoro con quelle della scuola. La sfida è quindi quella di creare un’ ambiente di lavoro e scolastico che incoraggi l’innovazione e la creatività a tutti i livelli, favorendo il fluire libero delle idee, premiando chi sa rischiare in maniera intelligente e tollerando un certo grado di fallimenti. E stato più volte constatato che trattando ogni persona con rispetto e spingendoli verso una forma di responsabilità individuale tendono ad emergere soluzioni creative con una regolarità davvero imprevedibile.
La trasformazione digitale potenzia e genera un nuovo modo di lavorare e di comunicare. Il vantaggio competitivo non viene più raggiunto solo attraverso la riduzione dei costi ma attraverso l’invenzione, la genialità e la creatività totalmente orientate all’attenzione al minimo dettaglio. In un tale contesto ai manager per poter gestire i nuovi e più complessi modelli gestionali e operativi sono richieste doti come: innovazione, creatività, marketing emozionale, management strategico, pensiero laterale, etica.
Trattasi questo di un contesto favorevole alle donne manager che offrono, rispetto ai colleghi uomini, una maggiore propensione al nuovo e una grande passione per la ricerca e lo sviluppo, nonché una spiccata disponibilità a sperimentare nuovi mercati e una capacità innata di discernere quali sono le alleanze commerciali che si rivelano più proficue nel corso del tempo

2. L’interculturalità
Sempre più organizzazioni e imprese oggi operano su scala internazionale e non possono quindi sottovalutare l’influenza delle variabili culturali sul comportamento d’acquisto dei consumatori, sugli stili manageriali.
Una nuova sfida è quindi rappresentata dalla necessità di trasformare la necessità di gestire le diversità in risorsa per l’intera organizzazione, garantendo nel contempo la partecipazione attiva di ognuno ai processi di cambiamento senza distruggere idee, istituzioni e modelli culturali dalla lunga storia che costituiscono l’ identità di una persona o di una comunità.
Ciò si dovrà tradurre nelle seguenti azioni gestionali:
• supportare la partecipazione attiva ai processi di cambiamento di persone con diversità di genere, età, nazionalità, religione.
 ridurre la disparità sui luoghi di lavoro tra Baby boomer, Millennial e Generazione X
 comprendere la valenza delle diversità per valutarne l’impatto sul business
Già alcune aziende si stanno muovendo in questa direzione ed utilizzano il reverse mentoring per affrontare i problemi connessi ai conflitti generazionali. Il primo a utilizzare questo strumento fu Jack Welch, storico e innovativo CEO della General Electric, che nel 1999 chiese a 500 dei suoi top manager di trovare dei giovani impiegati che potessero spiegare loro come usare internet. Allo sconcerto iniziale seguì un successo che fece scuola. Questo tipo di iniziative in genere ha molto successo perché evita di far sentire i senior ghettizzati, come invece succederebbe mettendoli in un’aula di formazione tradizionale
Si fanno processi di reverse mentoring centrati non solo sull’aggiornamento degli skill digitali e tecnologici della popolazione senior, ma anche su altre tematiche di stretta attualità.
 migliorare il rapporto e la conoscenza tra i leader Over 50 e i gruppi di donne, persone con disabilità, comunità Lgbt (Lesbian, gay, bisexual e transexual) e i differenti gruppi culturali ed etnici
 accelerare il processo di integrazione tra dipendenti in caso di acquisizioni di società con culture diverse da quelle della casa madre.
Raffaella Temporiti, Direttore Risorse Umane di IBM Italia afferma “Il reverse mentoring focalizzato sulle donne ha aiutato i senior manager di sesso maschile a rompere i paradigmi e ad abbandonare pregiudizi inconsapevoli”.


3. Essere Socialmente Responsabili
Nel mondo del lavoro essere un’impresa socialmente responsabile significa oggi andare a lavorare su alcune aree di interesse per i lavoratori: work-life balance, stabilità e carriera, benessere psico-fisico e soddisfazione/ coinvolgimento al fine di individuare quali benefit e servizi l’azienda può fornire per migliorarne la vita privata e lavorativa.
Stanno pertanto diventando nuovi elementi qualificanti delle azioni riservate alla gestione delle Risorse Umane:
 work environment (qualità del luogo di lavoro, clima organizzativo, sviluppo e carriera, ecc.),
 company environment (bilancio sociale, valori, certificazioni ambientali, cultura organizzativa, ecc.)
 work-life balance (servizi per il benessere personale, servizi per la famiglia, ecc.)
E’ infatti in continuo aumento il numero delle aziende che offrono ai dipendenti benefits che vanno dal sostegno al reddito familiare, allo studio, e alla genitorialità, alla tutela della salute e fino a proposte per il tempo libero e agevolazioni. Per questo si parla di “welfare aziendale” o “secondo welfare”

4. Conclusioni
Per concludere possiamo dire che le donne hanno ancora una grossa sfida da vincere oggi : la poca stima verso se stesse e la PAURA DI SBAGLIARE che limitano le potenzialità dei percorsi accrescitivi. Cosa fare ? imparare a considerare vincenti e determinanti le loro caratteristiche.
Da combattere anche tanti pregiudizi o limiti, molto spesso culturali, che condizionano notevolmente le donne in carriera. Creare quindi consapevolezza di sé e delle proprie capacità: la consapevolezza fa cambiare i pericoli in opportunità.
Ed ancora un suggerimento: non rinunciare ma riordinare le priorità, continuando a combattere per la conciliazione di tempi e modi di vita.

Associate Partner Temporary Management & Capital Advisors/Presidente Associazione Italiana di Studio del Lavoro per lo Sviluppo Organizzativo– Maria Grazia De Angelis, 15 Marzo 2017, “Essere il cambiamento oggi:Uguaglianza, Educazione, Lavoro, Diritti dei Minori”

Slovak Catholic Charity, Integration Project Rafael (Anna Balgova, Mgr. Emilia Trepacova, Mgr. Jana Verdura )

Our focus is working with refugees that obtain international protection in Slovakia. Why do some people tend to radicalise? We want to belong somewhere. However, we often can be excluded, from classrooms, friends and the larger society. If we are excluded, we cannot feel satisfied with our lives and young people in these situations are more vulnerable to become a part of radical groups. Successful integration plays a really important part in this process. We are Caritas Slovakia, a non-profit, providing charitable social health care for those in need, including creating projects for victims of human trafficking. We seek to help without regard to origin, religion, nationality or political affiliation. Our first project was Backita, which aimed at providing comprehensive services to unaccompanied minors. Our current project is Rafael (patron saint of all travellers) where we are offering support in various aspects including social, legal, psychological counselling, and Slovak language courses. We have 3 integration centres, in Bratislava, Central Slovakia and in the East.

Many of the realities/problems that we encounter: health insurance, public opinion/impacted by politicians’ opinions, accommodation, pension insurance, Our focus is the situation of the clients.

What can we do better?

There are so many obstacles to be overcome. We are known as a country that is not open to migrants. We, as a nation, are an official partner of the ministry of interior – deporting people. As Caristas, we struggle every day to make a better condition for the refugees lives, those who came here. Our country should take responsibility for the people that are already here. This year only 100 asylum applications were launched in our country. We need to build a successful national integration program. We don't have one. A common asylum system in the EU should be build where the rights of those coming here can be ensured. We need to focus on long term projects: organisations are changing, people are changing. But building connections with refugees takes time. We need to consider this. Also, meetings are often just for us to speak to ourselves. We need more space for public discussion, and media needs to change the narratives. It’s really important to involve local communities to the integration process. Notes Submitted by Heather Fraser-Harris

Empowering Young Women in the ME(by Ms. Natascha Schellen)

Although I’m German/Austrian, English and Arabic are more familiar to me. I spent almost 20 years in Lebanon– a dual cultural experience. I feel very close to the Lebanese culture. This has inspired me in many ways. I am now doing an MBA with a focus in NGO management. I'm particularly interested in women empowerment. I really believe that if we have more women leadership (nothing against men!), we can find peace sooner. This is my image of Arab Women – strong! What the media shows is often skewed, and misrepresents who we are.

It’s a black and white image. that tries to put women in one box. In Lebanon, a small nation of 4 million people there is o much diversity. We can’t simplify this way. In Lebanon women are very active – they are out on the streets, protesting for rights; they are interested and invested in their future; they care about their country.

When men leave due to lack of job opportunities, the women stay behind. This can of course be for a number

of reasons from the need to take care of the home, or because there are sometimes less opportunity for them to leave. However, there is a lot of momentum with women being engaged. We are also seeing a rise of women education. Women make up 54% of university students but 26% of labour force. This is a big improvement, but there is large room for growth. This isn't just a Lebanese issue. We see inequality of pay. It is indeed getting better, but it is still a huge global issue. We also see women as examples, raising up the next generation. I recently worked as a journalist. We made an effort to focus on women and their careers, and singled out CEOs in order to show them as examples. As for WFWP, it is active in 4 countries.

WFWP Lebanon: Ketermaya Public School near refugee camps. Through donations it has helped refurnish the school library, and is currently focusing on organising book drives to fill it. WFWP Jordan: vocational skills,youth and character education through drama. WFWP Cyprus:
20th annual WFWP ME. A gratitude poster from children in Gaza who receive support from WFWP, was presented during that conference.

Ms. Natascha Schellen, MBA Student, WFWP Middle East
WFWP Europe Annual Conference: November 18-20, 2016, Bratislava, Slovakia

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